All’inizio di questo anno, ancora ferito e devastato dalla emergenza sanitaria, viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge n. 4 del 15 gennaio 2021 con cui si provvede a dare esecuzione alla Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, applicabile a tutti i settori, sia privati che pubblici, nell’economia formale e informale, in aree urbane o rurali. Come purtroppo a volte accade, disposizioni innovative e caposaldi dei principi costituzionali per la salvaguardia e tutela dei diritti dei cittadini, rimangono inapplicate. Il rischio si presenta sempre, un rischio che a volte è più fortemente rilevato quando le materie disciplinate hanno stretti legami con la sfera sociale e culturale; la parità, le pari opportunità, la violenza e le molestie di genere nei luoghi di lavoro appartengono a questo gruppo di norme la cui applicabilità mostra un alto pericolo di non effettività. Si produce, dunque, uno “scarto” tra quello che viene previsto dalla norma e la realtà della vita quotidiana, e nel caso di specie della vita delle donne lavoratrici che vengono emarginate. La misura di tale differenziale è la sofferenza psicologica, economica e sociale che travolge le persone coinvolte, ma che si allarga a tutti gli individui di una società democratica. È un nodo da sciogliere: l’intreccio tra la norma e il mancato cambiamento culturale, auspicato e continuamente invocato, è la dimensione della mancata traduzione in realtà di quanto è scritto nei codici. C’è una forte resistenza nelle istituzioni e nella società: gli stereotipi di genere sono duri a morire e definiscono il campo fertile di una cultura retrograda e maschilista. Agire attraverso l’introduzione di un impianto normativo come la legge n. 4/2021 è anche cambiare la cultura. Le “parole” delle leggi modificano l’architettura delle “teste” delle persone e le “teste” modificano i comportamenti. La legge n. 4/2021, è nata dalla profonda preoccupazione per il contraccolpo a sfavore dei diritti delle donne, già in atto prima della pandemia e il suo successivo peggioramento nel corso dell’attuale situazione emergenziale. Si è avvertita la necessità di un riconoscimento di tutela più marcato contro le violenze e le molestie che possono verificarsi sia nei luoghi di lavoro, ma anche diversi da quello inteso in senso fisico, vale a dire in comunicazioni anche per via telematica, viaggi e attività sociali, nonché negli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro e durante gli spostamenti per recarsi al lavoro e per il rientro dal lavoro. I dati, se pur non aggiornati, dell’Indagine sulla sicurezza dei cittadini 2016 dell’Istat, ha permesso di stimare il numero delle donne che, nel corso della loro vita e nei tre anni precedenti all’indagine, sono state vittime di una forma specifica di violenza di genere: le molestie e i ricatti sessuali in ambito lavorativo. Lo studio ha evidenziato che sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% per cento delle lavoratrici, incluse le donne in cerca di occupazione. L’indagine, inoltre, ha evidenziato che il 33,8% delle donne ha cambiato volontariamente lavoro o ha rinunciato alla carriera, che il 10,9% è stata licenziata o messa in cassa integrazione o non è stata assunta. Il luogo di lavoro diventa negato alle donne a causa degli effetti del declino economico provocati da bassi tassi di occupazione femminile e per gli effetti, come su rappresentati, di eventi di violenza e molestie, congiuntamente alle condizioni di mancanza di tutela della maternità e di una mancata valorizzazione delle differenze di genere. L’ambito di applicazione normativo è un luogo di lavoro che diventa non più confinato a precisi spazi, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva ed a ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore, alla lavoratrice nell’ambito del proprio lavoro, ma si espande. I confini non sono più fisici, oltrepassano il mondo reale e si snodano in un mondo virtuale, oggi sempre più presente, a causa dell’emergenza sanitaria che ha imposto l’utilizzo di modalità lavorative alternative a quella in presenza sia nel settore privato che pubblico. Il riferimento allo smart working, all’home working, al lavoro agile, ecc. definiscono luoghi “altri”, anche questi, purtroppo, non immuni dal rischio dell’accadimento di episodi di molestie e violenza di genere. Tra gli obiettivi strategici del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), presentato dal presidente del Consiglio Draghi al Parlamento, a favore delle donne si prevedono misure per una strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026. Un “sistema nazionale di certificazione della parità di genere che intende accompagnare le imprese nella riduzione dei divari in tutte le aree critiche per la crescita professionale delle donne e rafforzare la trasparenza salariale”. Se, quindi, è ammessa la necessità di interventi con riguardo alle pari opportunità nelle aziende e alla parità salariale, è riconosciuta, allora, l’esigenza di agire per contrastare forme di molestie e violenza di genere, perché esse sono direttamente correlate alle opportunità di crescita in azienda e parità salariale, se non addirittura requisito e precondizione per una concreta certificazione di pari opportunità. Laddove si è in presenza di rischi di eventi molesti e di violenza è alto il rischio che non si possa realizzare totalmente o in parte quanto auspicato dalla “rinascita” del PNRR. L’attribuzione della “certificazione della parità” passa dalla constatazione di attività e funzioni svolte per rendere l’ambiente di lavoro effettivamente “sano”, libero da pregiudizi e comportamenti molesti e di violenza contro le lavoratrici, al fine di far crescere capacità ed opportunità. Utile a tal fine sarebbe implementare un sistema aziendale di “indicatori” di pari opportunità, di misurazione di differenze retributive e di valutazione di sicurezza da molestie e violenza che sia la quantificazione della qualificazione della cosiddetta “certificazione di parità”. Un sistema che rappresenti il passaggio ad un “obbligo” di risultato. Appare chiaro come le strade da percorrere per arrivare alle pari opportunità siano strettamente intrecciate con quelle del contrasto alla violenza e molestie negli ambiti lavorativi, poiché esiste una sistematica relazione diretta. Il diritto alla salute è più che mai vivo e pressante nella quotidianità delle nostre vite, in questo periodo di pandemia, e la legge n. 4/2021 individua nuovi e più efficaci strumenti di tutela a garanzia della salute e sicurezza nel luogo di lavorativo per consentire di godere più pienamente di un altro fondamentale diritto costituzionale che è quello del lavoro. Con la legge citata sono stati inquadrati gli obblighi degli Stati membri, chiamati ad adottare disposizioni definitorie interne sulla violenza e sulle molestie, conformemente alle indicazione della Convenzione sia in termini preventivi sia repressivi. Viene previsto che i datori di lavoro adottino misure di prevenzione, proporzionalmente al loro grado di controllo, formando i soggetti interessati, al fine di prevenire l’insorgere di comportamenti e pratiche inaccettabili. Le misure comprendono l’adozione di politiche per un ambiente di lavoro esente da violenze e molestie, la valutazione di eventuali rischi di violenze e molestie e la conduzione di attività di informazione, sviluppando strumenti, dimensioni di orientamento, attività’ educative e formative, anche attraverso la promozione di iniziative di sensibilizzazione con modalità accessibili e adeguate. Le misure previste prese in considerazione sono riferite anche quando la violenza e le molestie si manifestano, contemplando procedure di controllo e di esecuzione della legge, nonché misure di ricorso. In particolare, sono previsti l’istituzione di misure sanzionatorie e la garanzia di meccanismi di ispezione e di indagine efficaci per i casi di violenza e di molestie, ivi compreso attraverso gli Ispettorati del lavoro o altri organismi competenti. La nuova legge assume rilevanza in quanto introduzione espresso richiamo agli organi di controllo con competenze sulla legislazione sociale, assicurativa e lavoristica, ovvero richiamando direttamente l’Ispettorato del lavoro. Il meccanismo di controllo è chiaramente individuato attraverso interventi da parte dell’Ispettorato del lavoro la cui azione quindi non può più solo essere orientata alla verifica dello stato del rapporto di lavoro della lavoratrice o del lavoratore, al fine di assicurarne la tutela, ma altresì al controllo sulle molestie e/o sulle molestie sessuali sul luogo di lavoro. Il 23 novembre 2020, pochi giorni prima della giornata contro la violenza sulle donne, la Direzione Centrale coordinamento giuridico dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) con il parere n. 1028 si esprime sulle molestie e molestie sessuali nei luoghi di lavoro, in particolare riscontrando uno specifico quesito formulato in merito al trattamento sanzionatorio previsto dal d. lgs. n. 198/2006. Il parere fa emergere che il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro può rappresentare un rischio che il datore di lavoro deve valutare nell’ambito del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR). Il d. lgs n. 81/2008 prevede un obbligo generale di sicurezza che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie per proteggere l’integrità psico-fisica del lavoratore/della lavoratrice comprese quella di inserire nel DVR, tra i rischi lavorativi, quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli connessi alle differenze di genere. L’integrità psico-fisica del lavoratore/della lavoratrice è richiamata, con riferimento altresì all’integrità morale e alla dignità, al comma 3-ter dell’art. 26 del citato codice di Pari Opportunità, obbligando il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 del c.c., ad assicurarne le condizioni, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, formativa ed informativa, più opportune per la prevenzione del manifestarsi di fenomeni di molestia. Il reato di “molestie sessuali sul luogo di lavoro” non è attualmente una autonoma fattispecie penale codificata, ferma restando la generale fattispecie di cui all’art. 609 bis c.p., in materia di violenza sessuale. E non vi è una specifica sanzione sotto il profilo amministrativo. I divieti espressamente sanzionati sono quelli previsti dagli artt. 27, commi 1-3, 28, 29 e 30, commi 1-4, inerenti discriminazioni nell’accesso al lavoro, nelle formazioni professionali, nelle condizioni di lavoro, compresa la retribuzione, nonché in relazione alle prestazioni pensionistiche, laddove si prevede, altresì, lo specifico intervento della Consigliera/e nazionale o regionale, in fase conciliativa, volto alla rimozione delle discriminazioni stesse. La possibilità di esplicare funzioni ispettive da parte degli Organi di controllo, tra cui l’Ispettorato del lavoro, quindi impone la definizione di nuovi strumenti finalizzati per la contestazione degli illeciti da parte del personale ispettivo. Sorge imponente la preoccupazione di come poter rendere effettivo l’espletamento di competenza nell’ambito dell’attività di vigilanza. Definire una nuova modalità di strategia ispettiva che parte dalla denuncia e richiesta di intervento da parte delle lavoratrici vittime ed arrivi all’accesso ispettivo in azienda da parte dell’ispettore del lavoro. Il piano dell’attività ispettiva dovrà altresì riferire anche sulla violenza e molestie di genere. Nei documenti di programmazione della vigilanza, finora, è consuetudine ritrovare un breve paragrafo sulla “tutela dei lavoratori vulnerabili” che sottende allo svolgimento dell’azione di contrasto agli illeciti sostanziali di maggior disvalore sociale ed economico a richiesta degli interessati o d’iniziativa, tra cui le donne. Per assicurare una tutela effettiva di tali lavoratori il personale ispettivo si dichiara che si svolgeranno accertamenti anche in relazione alla corretta applicazione della disciplina in materia di parità di trattamento e di divieto di discriminazione. A tal fine, sempre viene richiamata la collaborazione con la rete delle consigliere di parità. Tutto ciò dovrà essere esteso anche alle fattispecie connesse alle differenze di genere, nonché più in particolare alle “molestie e violenze sessuali sul luogo di lavoro”. L’azione ispettiva deve essere considerata fondamentale per il contrasto a “quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. L’azione di contrasto consente di far emergere il fenomeno anche ai fini di una corretta ed adeguata pianificazione degli interventi da predisporre mirati ed efficaci.

Anna Frasca 
funzionari statistica presso Ispettorato Territoriale del Lavoro di Bari – esperta in statistiche di genere dell’Associazione CREIS
Quanto scritto in questo articolo è frutto delle riflessioni personali dell’autrice e non impegna in alcun modo l’Ispettorato del Lavoro

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